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Michele Abate Psi

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Cos’è l’ADHD? Sintomi ed esperienza

Immagina di sentirti spesso irrequieto/a, di dimenticare di continuo oggetti o impegni, di iniziare qualcosa e ritrovarti a farne altre tre, magari lasciando tutto a metà. Sono cose con che possono suonare più che familiari ad una persona con ADHD.

Partiamo dal principio: cos’è l’ADHD? E’ il Disturbo da Deficit dell’Attenzione/Iperattività (in inglese, Attention Deficit/Hyperactivity Disorder – ADHD; APA, 2013). Si tratta di un disturbo del neurosviluppo e i cui sintomi caratteristici sono:

  • Persistente disattenzione (ad es., divagazione dal compito, mancanza di perseveranza, facile distraibilità o difficoltà a mantenere l’attenzione, difficoltà a organizzarsi o a gestire il tempo);
  • Persistente iperattività/impulsività (esempi di questa iperattività possono essere un eccessivo muoversi, tamburellare, senso di irrequietezza o un’eccessiva loquacità; mentre l’impulsività può presentarsi come l’interrompere eccessivamente gli altri, il prendere decisioni importanti o compiere azioni senza considerare le conseguenze a lungo termine – appunto, d’impulso).

Per la diagnosi di tale disturbo si ritiene che sintomi di disattenzione o iperattività debbano essere presenti già durante l’infanzia (prima dei 12 anni) e in più contesti (per es. a casa, a scuola o a lavoro).

I sintomi devono poi avere un’intensità tale da poter configurare la presenza del disturbo: essere cioè considerati eccessivi o inappropriati rispetto all’età della persona o alla situazione e intaccare il funzionamento sociale, scolastico o lavorativo della persona. Questo ultimo punto appare particolarmente importante poiché dimenticanze o comportamenti d’impulso sono presenti anche nella popolazione generale. Ci torneremo alla fine dell’articolo, ma detto in altro modo: non creiamo panico con l’autodiagnosi, si possono perdere spesso le chiavi senza avere l’ADHD!

I sintomi possono variare notevolmente con l’età. Ad es., l’iperattività nei bambini può presentarsi come il correre dappertutto e non riuscire a stare fermi, mentre negli adulti può manifestarsi come un senso di estrema irrequietezza (quindi più una percezione interiore che un comportamento manifesto).

Inoltre, non deve trarre in inganno il fatto che i sintomi possano apparire assenti in alcune situazioni. I segni di questo disturbo possono infatti essere minimi o assenti in diversi momenti, come quando la persona si trova in un ambiente nuovo, quando è impegnato in attività per lui/lei particolarmente interessanti, quando riceve frequenti ricompense o stimoli, oppure quando è sotto lo stretto controllo di qualcun altro.

ADHD: maschi e femmine

L’ADHD è diagnosticato più frequentemente nei maschi che nelle femmine (e.g., Willcutt, 2012), con un rapporto di 2 a 1 nei bambini e 1,6 a 1 negli adulti (APA, 2013), ma in anni recenti diversi studi scientifici hanno sollevato l’ipotesi che le femmine con ADHD potrebbero essere in realtà molte di più di quelle stimate (Hinshaw et al. 2022; Young et al., 2020). Una delle ipotesi che spigherebbe la possibile sottodiagnosi nelle femmine (cioè il numero di femmine diagnosticate con ADHD sarebbe inferiore rispetto al quelle effettivamente affette dal disturbo) ritiene che questa condizione si possa presentare in maniera differente tra i generi e che la manifestazione più tipicamente femminile potrebbe essere meno riconosciuta e individuata come tale (Hinshaw et al., 2022; Loyer Carbonneau et al., 2020).

ADHD negli adulti

Ma non è quella dei bambini!?” mi disse una volta un paziente. Ecco, questo è un punto particolarmente delicato. Per lungo tempo l’ADHD è stato associato prevalentemente o addirittura esclusivamente all’infanzia, mentre oggi molte evidenze sostengono che l’ADHD può perdurare nel tempo e riguardare anche l’adolescenza e l’età adulta (Posnert et al., 2020; Sibley et al., 2017; Faraone et al., 2006). A riguardo, è stato anche evidenziato che nel corso della crescita la sintomatologia osservabile può variare molto (Franke et al., 2018; Willcutt et al., 2012). Oggi le diagnosi di ADHD negli adulti sono più frequenti che in passato e molte ricerche esaminano come questo quadro clinico possa modificarsi nel corso del tempo.

Un adulto con l'ADHD: l'esperienza di P.

Caliamo alcune di queste informazioni nel concreto con l’esperienza di P. (1)

P. lavora come libero professionista, ha 37 anni e un’importante relazione terminata da mesi che “Ancora non me la riesco a togliere dalla testa”, dice. Il suo lavoro gli piace molto, eppure lo vive con enorme fatica: descrive le sue giornate come piene di cose lasciate a metà, iniziate e non terminate, bucate da altre attività o da lunghi momenti in cui “Perdo il tempo senza accorgermene”.

Quando per la prima volta sentì parlare dell’ADHD si informò in rete e gli sembrò di avere esattamente quello che stava leggendo. Subito cominciò ad utilizzare remainder, app sullo smartphone e calendari con sveglie per non dimenticare impegni o appuntamenti, o ancora per superare quella che definisce procrastinazione. Racconta che all’inizio gli sembrarono utili, ma presto questi strumenti iniziarono a incartarsi, a incasinarsi, e oggi “Nonostante tutta questa roba” gli costa non perdersi nelle cose che fa.

Tamburella con le dita sul tavolo, sulla fronte, sugli avanbracci, tende a cambiare posizione di continuo e quando è seduto a tavola tocca di continuo gli oggetti che ha di fronte. Queste cose gliele fecero notare per la prima volta anni fa degli amici, come mai nessuno prima di loro? Ipotizza che i suoi genitori dovevano esserci ormai così abituati da non vederlo più.

E poi fuma, lamenta di fumare di continuo; mentre il suo consumo di alcol è caratterizzato da frequenti momenti di eccesso (effettivamente molte ricerche indicano che le persone con ADHD potrebbero essere maggiormente a rischio di consumo di tabacco, alcol e altre sostanze psicoattive; Abate et al., 2024; Sibley et al., 2017).

Una delle cose che gli pesa di più riguarda come vive il lavoro: è un professionista affermato, ma racconta di provare più frustrazione che soddisfazione dalla sua attività. Pensa che potrebbe fare molto di più. Ha fatto anche degli investimenti consistenti per poter aumentare la sua attività, rendendosi conto solo successivamente di non riuscire a seguire tutte le iniziative intraprese e dover mettere tutto da parte per il futuro.

L’esperienza di P. rappresenta un esempio concreto – uno dei tanti possibili – di come possono declinarsi nella vita di tutti i giorni alcuni sintomi dell’ADHD. Nonostante la grande mole di ricerche a riguardo dal 1902 (secondo molti, anno della prima descrizione formale di questo disturbo ad opera di George Frederic Still, 1902), diversi aspetti di questo disturbo restano attualmente molto discussi nella comunità scientifica. Insomma, ne sappiamo molto di più di quello che ne sapevamo prima, ma ancora molto resta da chiarire.

La diagnosi di ADHD

rima di salutarci c’è da evidenziare un punto importante. L’ADHD può essere un disturbo invalidante, se c’è un disagio legato a sintomi come quelli descritti, il buon senso ci invita ad approfondire, cercare aiuto e nel caso sia necessario effettuare trattamenti adeguati (che esistono e grazie ai quali tantissime persone stanno meglio). D’altra parte, come un famoso libro recava scritto a grandi lettere in copertina: “Don’t panic!” (Adams, 1979). Difficoltà nella sfera dell’attenzione, della motricità e dell’impulsività non sono presenti solo nell’ADHD ma anche in molte altre condizioni cliniche così come in situazioni non francamente patologiche. Ancora, diverse degli esempi fatti possono presentarsi nella vita quotidiana di ciascuno e per collegarli alla presenza di un effettivo disturbo è necessaria un’attenta valutazione clinica.

Perché questo è importante? Per comprendere che – come precisano le best practices, sorta di raccomandazioni guida sul tema (NICE, 2019; Faraone et al., 2015) – la diagnosi dell’ADHD è un processo complesso, che deve tenere conto di una molteplicità di dati, fattori e strumenti, mentre una frettolosa ricognizione (o un’autodiagnosi) dei sintomi può essere non solo inutile ma addirittura dannosa. D’altra parte, a cosa sarebbe servita a P. una diagnosi di ADHD che non lo avrebbe aiutato a capire realmente qualcosa in più di ciò che viveva e cosa fare a riguardo?

Note:
(1) E’ garantita la privacy e l’anonimato di P., che rappresenta un’unione di fatti, persone ed esperienze in modo da assicurare il profondo rispetto di ogni storia personale.

Il presente articolo è stato scritto dal dr. Abate ed è soggetto a diritto d’autore e copyright secondo le norme di legge.

Attenzione:
Il materiale contenuto nel sito ha scopo divulgativo, non costituisce la formulazione di una diagnosi o la prescrizione di un trattamento e non si sostituisce alla valutazione di un professionista.

Bibliografia:
La bibliografia è disponibile qui.

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